Antonia Locatelli
Biografia
Antonia Locatelli nacque a Fuipiano Imagna (Bergamo) il 16 novembre 1937.
Di famiglia contadina, emigrò in Svizzera all’età di quindici anni in cerca di lavoro assieme a due dei suoi sei fratelli, Caterina e Battista. A Brunisberg (Friburgo-Svizzera) entrò nella congregazione delle Suore Ospedaliere di Santa Marta, prendendo i voti.
Nel 1968 si trasferì in Africa in una missione nel Benin e nel ‘70, assieme a un gruppo di consorelle, in Ruanda, nella missione di Nyamata, un centro di 80.000 anime a 30 chilometri a sud della capitale Kigali.
Lì fondò e diresse una scuola (Cerai) per insegnare alle ragazze, oltre al francese, le attività domestiche e in particolare l’allevamento razionale degli animali, cosa praticata allora in Ruanda in modo rudimentale. Per avere meno vincoli nello svolgimento della sua missione, svestì l’abito ma rimase sempre unita alle suore di Santa Marta, collaborando per il dispensario e la parrocchia.
Era conosciuta come l’«angelo dei diseredati», perché la sua azione era rivolta a tutti i bisognosi, di qualsiasi etnia, religione o condizione sociale. Aveva un piglio deciso, un carattere rustico che a volte sconfinava nel burbero, e un cuore senza uguali che la faceva amare da tutti.
Ai primi di marzo del 1992 assistette alle ondate di violenza omicida nella regione del Bugesera, nella parte orientale del Ruanda, prime prove dei massacri di massa perpetrati dagli estremisti hutu - che usavano la radio per incitare all’omicidio - ai danni dei tutsi.
La situazione era diventata esplosiva dopo l’inizio, nel 1990, della guerriglia del Fronte Patriottico, che aveva causato l’esodo delle popolazioni delle zone del Nord confinanti con l’Uganda, da dove provenivano gli attacchi contro il governo. Si scatenò una propaganda mediatica, cui non era estraneo il governo, che incitava gli hutu a uccidere i tutsi.
Antonia Locatelli intuì il rischio di una deriva genocidaria. Informò alcune ambasciate straniere e denunciò ai media internazionali le atrocità che avvenivano sotto i suoi occhi, chiedendo alla comunità internazionale di attivarsi subito. Possiamo citare una sua dichiarazione a una radio internazionale, riportata sulla sua tomba a Nyamata: «Dobbiamo salvare questa gente, dobbiamo proteggerli. È solo il governo che può farlo».
Nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1992, il giorno dopo la sua denuncia, Antonia fu freddata a Nyamata da due colpi di arma da fuoco. Aveva 55 anni. Il primo proiettile la colpì alla bocca – c’è chi dice per evidenziare che il suo errore fosse stato quello di comunicare al mondo intero ciò che stava accadendo - e il secondo la raggiunse al cuore.
Incurante del coprifuoco, era scesa in strada per soccorrere un gruppo di profughi ammassati nelle scuole elementari dell’istituto. A Nyamata, in quei giorni, avevano trovato rifugio migliaia di persone, schiere di diseredati senza casa e senza cibo che, temendo le ritorsioni dei militari, cercavano protezione nelle missioni.
Grazie al sacrificio di Antonia Locatelli si salvarono almeno 300 tutsi nascosti nel suo istituto, perché il governo ruandese, guidato dal presidente Habyarimana, dovette fermare i massacri a causa della pressione mediatica prodotta dalla coraggiosa denuncia della operatrice umanitaria italiana.
Antonia Locatelli è sepolta a Nyamata, vicino a una chiesa all’interno della quale, due anni dopo, furono massacrati un migliaio di tutsi.
Il 4 luglio 2010 il governo ruandese ha conferito ad Antonia Locatelli alla memoria, il premio UMURINZI, per la sua azione contro il genocidio.
Il 17 ottobre dello stesso anno il Giardino dei Giusti del Mondo di Padova le ha dedicato una pianta.
Seguirono questo esempio anche il Giardino dei Giusti di Varsavia (2014), quello di Bergamo (2018) e il Giardino dei Giusti sorto nel villaggio di Kfarnabrakh, in Libano (2019).