Antonio Santin
Antonio Santin nacque a Rovigno d’Istria il 9 dicembre 1895.
Primogenito di 11 figli di famiglia modesta (padre marinaio e madre operaia). Già dopo le scuole elementari manifestò l’intenzione al sacerdozio, ma per difficoltà economiche entrò solo nel 1914 nel seminario teologico di Gorizia. Allo scoppio della guerra contro l’Austria, assieme agli altri chierici, fu trasferito in Slovenia. Nel monastero di Stična, il primo maggio 1918 fu ordinato sacerdote e assegnato alla diocesi di Parenzo (Pola). Celebrò la prima messa a Vienna dove la sua famiglia era stata deportata in esilio da Rovigno, dopo vari spostamenti per motivi politici e militari, come profughi istriani. Trasferito in un paesino dell’interno dell’Istria, dove cominciò ad imparare la lingua slava, fu poi destinato a Pola, incaricato dell’assistenza agli ammalati e bisognosi e dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Frequentò i corsi della Scuola Sociale Cattolica di Bergamo dove si laureò nel 1923 con una tesi sull’attività della Chiesa a favore degli schiavi nei tempi antichi, nel quadro dei suoi interessi per gli ultimi della società e, memore delle sue umili origini, frequentò le case dei più poveri per apportarvi conforto e sostegno materiale. Nel 1932 fu nominato vescovo di Fiume e dovette lasciare Pola dopo 15 anni di affezionato servizio di quella comunità. A Fiume trovò un ambiente multietnico più complesso, con lingue e religioni diverse ed ebbe modo di approfondire lo sloveno e il croato, che usò nella predicazione alle diverse popolazioni di fedeli, e nelle occasioni speciali quale il congresso eucaristico di Laurana, con relazioni e prediche in tre lingue. Fu attento e rispettoso delle diverse comunità religiose, in particolare della Comunità ebraica presente in città, alla quale concedette lo spazio verde dell’episcopio per la Festa annuale delle Capanne e con la quale mantenne sempre ottimi rapporti.
Il 16 maggio 1938 fu nominato vescovo di Trieste e Capodistria e il 3 settembre si insediò a Trieste dove la comunità ebraica era fiorente e numerosa e dove, il 18 settembre, Mussolini arrivò in visita ufficiale e annunciò le leggi razziali. Monsignor Santin ebbe subito modo di dimostrare il suo carattere energico e coraggioso affrontando Mussolini sul sagrato di San Giusto, proprio sul tema delle persecuzioni di ebrei e slavi. Per gli slavi, in particolare, argomentava anche il pericolo che con quelle vessazioni si allontanassero dalla Chiesa e si avvicinassero al comunismo. Successivamente conferì con Mussolini a Palazzo Venezia a favore della comunità ebraica di Trieste, che a causa del pericolo dei rastrellamenti, gli affidò, perché lo custodisse, quanto aveva di più prezioso, e nella prima fase della guerra intervenne spesso presso le autorità a difesa della popolazione slava oggetto di internamento.
Il 15 aprile 1943 firmò, assieme ad altri vescovi del Friuli Venezia Giulia, un memoriale a Mussolini. Prima e dopo l’8 settembre 1943 intervenne frequentemente a difesa di ebrei, antifascisti, italiani e slavi, diede ospitalità e ristoro ai soldati italiani sbandati e salvò una partigiana slava ricercata dai tedeschi intrattenendo anche contatti con il movimento di Liberazione e nascondendo quanti erano in pericolo. Nel 1944 si verificò una recrudescenza di rastrellamenti e deportazioni di ebrei e venne prelevata anche una scrittrice collaboratrice del vescovo. Monsignor Santin scrisse al generale delle SS e perfino ad Hitler, ma purtroppo la scrittrice triestina venne ugualmente deportata ad Auschwitz e lì morì dopo atroci sofferenze. Monsignor Santin intervenne in molti casi, presso le autorità germaniche, per salvare i cittadini incarcerati nella Risiera di San Sabba. Tra gli altri riuscì a salvare Giani Stuparich, con la madre e la moglie, rinchiusi nella Risiera di San Sabba a causa dei suoi contatti con la Resistenza.
Il 1° maggio 1945 fu il vescovo a condurre la trattativa che portò alla resa della forza di occupazione tedesca. Lo stesso giorno una piccola formazione di partigiani di Tito entrò in città anticipando le truppe neozelandesi e occupò Trieste. Cominciarono subito i sequestri di persone e nei 40 giorni di occupazione comunista sparirono circa 5000 persone tra Trieste e Gorizia, gettate nelle foibe (Basovizza, Opicina) o in mare.
Con l’accordo di Belgrado le truppe titine si ritirarono da Trieste, ma in Istria continuò la pulizia etnica verso gli italiani: nel 1946 aumentarono anche le persecuzioni religiose e molti sacerdoti furono malmenati e uccisi. Lo stesso Santin il 19 giugno 1947, recandosi a Capodistria per impartire la Cresima, nonostante fosse stato avvisato dell’agguato programmato nei suoi confronti, fedele al suo apostolato, fu aggredito, bastonato e sfregiato e dell’aggressione fu testimone anche il giovane seminarista Fulvio Tomizza.
Nel 1947 la costituzione della zona A e della zona B causò l’inevitabile esodo dei 350mila italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. Se prima aveva difeso e salvato ebrei e slavi perseguitati, ora Monsignor Santin difendeva gli italiani cacciati dalle loro terre, sentendosi esule tra gli esuli.
Per il suo impegno pastorale, sociale e civile e per essersi coraggiosamente battuto contro persecuzioni, oppressioni e ingiustizie affrontando a turno nazisti tedeschi, comunisti jugoslavi, generali anglo-americani e funzionari governativi italiani, Monsignor Santin venne definito Defensor Civitatis. Riferisce mons. Capovilla a mons. Malnati, segretario del vescovo, che Papa Giovanni XXIII soleva dire che per quanto Monsignor Santin aveva fatto a favore degli ebrei perseguitati meritava di essere riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”.
Ed infatti, la mattina del 17 marzo 1981 in cui mons. Santin spirò, i primi che giunsero a rendergli omaggio furono proprio il Presidente e il Rabbino della comunità ebraica di Trieste.