Comunicato stampa: 109° anniversario del Genocidio Armeno, il discorso dell’assessora alla pace e ai diritti umani
"Signore, signori buongiorno, saluto Vartan Giacomelli, rappresentante della Comunità Armena e dell’Associazione Italiarmenia e Padre Serop Jamourlian della Congregazione Mechitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni.
Ringrazio le autorità civili, militari e religiose presenti a questa cerimonia che ricorda , il Metz Yeghern, il Grande Male come gli armeni indicano il genocidio in Anatolia, tra il 1915 e il 1918. Sono passati 109 anni dall’inizio di quella tragedia, il primo genocidio, purtroppo non l’ultimo, del ventesimo secolo, ma per fortuna il tempo passato non cancella la memoria di quanto accaduto. Ricordare quanto è avvenuto allora è un dovere di memoria per i tanti armeni che furono uccisi, oltre un milione e mezzo e per tutti quelli che senza più nulla, senza un luogo da poter chiamare casa, sono stai costretti a trovare rifugio e ospitalità in giro per il mondo.
Fu un crimine contro l’umanità, oggi lo riconosciamo tutti, con l’unica stridente eccezione della Turchia, figlio di esasperate istanze nazionaliste che tanti danni avrebbero creato in Europa negli anni successivi, ma che all’epoca lasciò abbastanza indifferenti le cancellerie e le opinioni pubbliche dei paesi occidentali. Certo ci furono anche allora persone che non girarono la testa dall’altra parte come Beatrice Rohmer che ad Aleppo, dove arrivavano le colonne dei sopravvissuti alle marce della deportazione, riuscì a organizzare, una struttura che salvò, in due anni, oltre 700 bambini armeni rimasti orfani. Per questa sua azione, che in parte svolse in maniera clandestina e con grande pericolo per la propria vita, è stata riconosciuta Giusta dell’Umanità e a lei lo scorso 6 marzo abbiamo intitolato un albero nel Giardino dei Giusti del Mondo a Terranegra.
Un segno non solo di memoria e riconoscenza ma anche di speranza perché ci ricorda che possiamo sempre scegliere da che parte stare. Di speranza, rispetto al diritto di tutti i popoli di vivere in pace in un territorio senza guerre e sopraffazioni abbiamo davvero bisogno. La stessa Armenia vive nuovamnete, in questi mesi il dramma dell’esodo dal Nagorno Karabak praticamente di tutti gli armeni che lì vivevano dopo l’operazione militare dell’Arzebaijan che ha assunto il controllo di quella regione. Anche questa volta nella sostanziale indifferenza della comunità internazionale
Le guerre alle quali assistiamo in questi ultimi due anni hanno drammaticamente riportato alla ribalta la parola genocidio. Assistiamo oggi a un dibattito, in punta di diritto, se questo o quel conflitto possa essere definito o meno genocidio. La realtà dei fatti è che a pagare il prezzo più alto è sempre la popolazione civile, le donne, i bambini, sacrificati a fanatiche ideologie, nazionalismi esasperati e inconfessabili interessi economici. Dobbiamo dire basta a tutto questo perché questa violenza genera solo altra violenza, perché non è possibile immaginare che l’unico linguaggio sia quello della forza e delle armi.
In questi giorni sulle pagine dei giornali ha trovato posto una fotografia, vincitrice del più importante premio fotogiornalistico del mondo, sulla quale dovremmo tutti riflettere. Se non la avete vista, andatela davvero a cercare. Rappresenta una donna disperata che abbraccia il corpo, avvolto in un sudario, di sua nipote, una bimba di appena nove anni. I loro volti non si vedono, e questo rende ancora più drammatica la scena che a noi ricorda immediatamente una Pietà. Rappresenta, come meglio non si potrebbe, il male e la violenza di tutte le guerre, il dolore di tutte le madri, la sconfitta di tutte le ragioni. Il rischio che dobbiamo evitare è quello di una progressiva abitudine a questi scenari di violenza, in un’indifferenza direttamente proporzionale alla distanza da questi teatri di guerra e alle conseguenze che possono avere sulla nostra tranquilla vita quotidiana.
Trovarci qui oggi, non è quindi solo un momento di memoria che ricorda, doverosamente un dramma del passato, ma una occasione di riflessione sui meccanismi, politici, economici, sociali, che nonostante tutto, nonostante ogni volta si dica, mai più, ripropongono drammaticamente gli stessi errori e gli stessi orrori. Non possiamo immaginare che qualcosa o qualcuno dall’alto cambi tutto questo. Sta ad ognuno di noi, nel quotidiano, fare quello che può, con le parole e con le proprie azioni perché si percorrano strade diverse. Esserne consapevoli è già il primo passo".