Dimitar Pesev
Nato a Kjustendil, in Bulgaria, il 25 giugno 1894, Dimităr Pešev si laureò in giurisprudenza e nel 1935 accettò la proposta del primo ministro bulgaro Georgi Kjoseivanov di entrare come Ministro della giustizia nel nuovo regime apartitico.
Di sentimenti democratici, si illuse che un regime autoritario senza partiti potesse risolvere il problema della corruzione e del degrado della politica.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Bulgaria proclamò la sua neutralità, ma nel 1940 strinse un patto di alleanza con la Germania hitleriana, spinta da ragioni di Realpolitik e dalla prospettiva di recuperare la Macedonia, la Dobrugia e altri territori perduti a seguito delle guerre balcaniche degli anni 1912-1913. L’idillio durò poco e i nazisti chiesero alla Bulgaria di adottare le leggi razziali contro gli ebrei.
Il 19 novembre 1940 il Parlamento bulgaro, di cui Pešev era vicepresidente, approvò le proposte antisemite del ministro dell’interno Petăr Gabroski. Pesĕv, che in quella seduta fungeva da presidente dell’assemblea, non intervenne e non partecipò al voto. Le leggi razziali furono ratificate da re Boris il 15 gennaio 1941. I 48.000 ebrei bulgari imboccarono la lunga via della tragedia.
Il 20 gennaio 1942 i nazisti decisero, in estrema segretezza, la soluzione finale e anche gli ebrei bulgari entravano nel progetto di sterminio.
Una domenica mattina, un vecchio compagno di scuola ebreo che proveniva da Kjustendil, città in cui Pešev aveva vissuto fino all’adolescenza, si recò da lui informandolo che il governo, in accordo coi tedeschi, stava preparando per il giorno dopo la deportazione degli ebrei.
Era il 7 marzo del 1943. Raggiunto il Parlamento, di cui era sempre vicepresidente, Pesĕv radunò una decina di deputati e irruppe nell’ufficio del ministro degli interni Gabrovski, costringendolo a revocare l’ordine di deportazione. Poi si accertò personalmente, via telefono, che tutte le prefetture avessero rispettato il contrordine. La deportazione degli ebrei era sospesa, non revocata.
Pešev decise di agire in Parlamento. Scrisse di suo pugno una lettera di protesta molto dura e raccolse le firme di una quarantina di deputati per chiedere al governo e al re di non commettere un crimine così grave.
Il 17 marzo 1943 la consegnò personalmente al capo di gabinetto del primo ministro, Bogdan Filov. La reazione non si fece attendere. In un clima di sospetti e di calunnie, il primo ministro, spalleggiato da re Boris, ottenne, con 66 voti a favore, 33 contrari e 11 astenuti, che Pešev fosse destituito da vicepresidente del Parlamento.
La denuncia di Pešev sortì, inaspettatamente, l’effetto sperato: re Boris, in seguito allo scandalo prodotto nell’opinione pubblica, fece marcia indietro, forse vergognandosi di quanto stava permettendo, e il 31 marzo, in un incontro ufficiale con Hitler e von Ribbentrop, annunciò la revoca dell’ordine di deportazione, con il pretesto che aveva bisogno di manodopera per costruire nuove strade. Purtroppo, non agì in difesa degli ebrei dei territori limitrofi e così circa dodicimila ebrei macedoni e traci furono sterminati ad Auschwitz.
Nel frattempo, si produsse il miracolo di tanti altri no, da parte di intellettuali, scrittori, cittadini, cui si unì, il 24 maggio, la voce possente del metropolita della chiesa ortodossa, Stefan. Nel giro di qualche mese le leggi razziali furono abolite.
Dopo la guerra, il regime comunista filosovietico infierì su Pešev.
Il 9 dicembre 1944 fu imputato di crimini politici con tredici capi d’accusa, tra cui l’aver approvato le leggi antisemite, e fu condotto in carcere. Analogo destino subirono i quarantadue deputati che avevano firmato la sua lettera in difesa degli ebrei: venti furono condannati a morte, sei all’ergastolo, dodici a pene detentive diverse, tre furono assolti (uno era deceduto nel frattempo).
Pešev fu condannato a quindici anni di prigione, ai lavori forzati e alla confisca di tutti i suoi beni, ma dopo un anno fu rimesso in libertà, col divieto di esercitare la professione di magistrato.
Morì in povertà a Sofia il 20 febbraio 1973.
Nel 1973 la commissione di Yad Vashem gli attribuì il titolo di Giusto tra le Nazioni per aver salvato gli ebrei del suo paese.
Nel 2002 è stata aperta al pubblico la casa-museo di Dimităr Pešev, a Kyustendil.
Nel 2008 il sindaco di Tel Aviv Ron Huldai e il presidente bulgaro Geogi Parvanov hanno inaugurato nel quartiere di Jaffa una fontana e una targa dedicati a Peshev.
Dal 2013 a Dimităr Pešev sono dedicati un albero e un cippo nel Giardino dei Giusti di tutto il Mondo di Milano e in quello di Padova.