Giusti riconosciuti nel 2009
Dal 5 ottobre 2008 la città di Padova ha il suo Giardino dei Giusti del Mondo, in cui si onorano i Giusti dei genocidi a partire dal XX secolo.
Ogni anno vengono ricordate persone che, nelle varie parti del mondo, dovendo sottostare a condizioni di imperante ingiustizia ed operando in qualsiasi campo o schieramento, si sono attivate, anche con rischio della vita, per contrastare un genocidio in atto o la cultura del genocidio, con l’intento di vanificarne, anche in parte, gli effetti. Per questi Giusti si celebra una cerimonia nel corso della quale viene messa a dimora una pianta in ricordo di ciascuno di loro.
Nel 2009 il Comitato scientifico ha indicato come Giusti:
- per il genocidio armeno: Hasan Amca, Jacob ed Elisabeth Kunzler
- per il genocidio ebraico: Pietro e Giuliana Lestini, Suor Marguerite Bernes, Padre Antonio Dressino, Gertrud Luckner, Giovanni e Regina Bettin, Varian Mackey Fry
- per il genocidio ruandese: Jacqueline Mukansonera, Zura Karuhimbi
- per il genocidio bosniaco: Ivanka Šucur, Ðuro Ivkovic, Dragan Andric.
La cerimonia ha avuto luogo il 18 ottobre 2009.
HASAN AMCA
Nell'agosto del 1916 il generale Ahmed Djemal Pascià istituì a Damasco una Commissione Speciale al fine di salvare la vita a 130.000 armeni, che dovevano essere trasferiti dal deserto di Hauran alle coste mediterranee della Siria. Un primo incaricato diede prova di inefficienza e fu sostituito da un ufficiale di origine circassa, Hasan Amca, che faceva parte del suo entourage e al quale Ahmed Djemal diede il suo appoggio incondizionato per organizzare il trasferimento e l'insediamento di 30.000 deportati armeni.
Amca si recò nei villaggi e nei centri di raccolta e organizzò la partenza di 260 famiglie. Ma al suo ritorno, a Deraa, si rese conto che le autorità civili avevano cessato le spedizioni.
Nel 1919 Hasan Amca denunciò su un giornale di Istanbul, Alemdar, lo sterminio degli armeni scrivendo 4 articoli sulla sua esperienza di responsabile dei campi di concentramento nel deserto mesopotamico.
Il primo articolo uscì l'8 luglio, in coincidenza con i processi contro i responsabili dei massacri che si stavano istruendo nella capitale turca.
L'11 luglio successivo fu pubblicato un secondo articolo su un episodio riguardante Mumtaz Effendi, l'attachè della Commissione Speciale, che gli aveva presentato gli agenti che dovevano collaborare con lui: Bedri, Messoud e Nouri Effendi.
Il terzo articolo compare su Alemdar il 15 luglio, quando l’opinione pubblica era ormai scossa dai sensi di colpa che derivavano non solo dalla denuncia delle stragi e degli indicibili orrori cui era stato sottoposto un intero popolo, ma anche dalla conseguente appropriazione dei loro beni. Amca, additato per strada come traditore, diventò bersaglio di insulti e minacce, mentre il giornale riceveva in continuazione lettere di protesta da parte di istituzioni e privati.
Nel quarto articolo, Amca rievocò l'incontro con il vali Tahsin Bey e il mutessarif Abdul Kader Bey, a Deraa, e raccontò la vicenda che lo aveva visto salvare tante vite e constatare subito dopo il voltafaccia delle autorità civili, quelle stesse che ora attaccava nei suoi articoli. Quell’articolo coraggioso fu l’ultimo. Il giornale sospese le pubblicazioni.
Il merito di Hasan Amca è duplice: aver operato efficacemente per salvare vite umane dallo sterminio e aver denunciato, con determinazione e coraggio, la complicità o l’indifferenza alla tragedia delle autorità preposte.
ELISABETH e JAKOB KÜNZLER
Jakob Künzler nacque a Hundwil, Svizzera, l' 8 marzo 1871 e morì a Ghazir, Libano, il 15 gennaio 1949.
In Svizzera iniziò lavorando come ricamatore e più tardi come carpentiere: dopo una formazione di infermiere presso la casa per diaconi a Basilea (1893), operò presso l’ospedale cittadino (1894-99) e successivamente, su invito del pastore Johannes Lepsius, divenne assistente medico all’ospedale della missione di Urfa (Turchia, 1899-1919).
Nel 1905 sposò Elisabeth Bender, figlia di Christian, missionario in Abissinia.
Durante la prima guerra mondiale, Künzler e sua moglie si occuparono da soli dell’ospedale di Urfa fino al 1922 e furono testimoni oculari dei massacri degli Armeni, in particolare dell’episodio dell’eroica resistenza di Urfa (29 Settembre-23 Ottobre 1915) che si concluse con la distruzione e lo sterminio dei membri della comunità armena locale.
I Künzler, esponendo sé stessi al pericolo, prestarono aiuto a un grande numero di Armeni, assistendo malati e feriti e salvando moltissimi orfani.
Jakob Künzler raccontò la sua esperienza nel libro “Im Lande des Blutes und der Tränen” (Nella terra del sangue e delle lacrime) che pubblicò nel 1921 e divenne il più documentato resoconto dei fatti avvenuti in Urfa durante il Genocidio.
Nel 1922, dopo la chiusura del loro ospedale, organizzarono il trasferimento di oltre 8000 orfani armeni verso la Siria, regione sotto il mandato francese, di cui faceva parte anche il Libano.
Jakob Künzler diresse l’orfanotrofio a Ghazir in Libano per conto dell’Associazione Svizzera di aiuto agli Armeni (1923-29), e fu collaboratore della Fondazione statunitense Near East nel Libano (1929-31).
Per la loro instancabile opera di aiuto e soccorso, Jakob ed Elisabeth Künzler vennero chiamati affettuosamente “Papà e Mamma Künzler”, soprannome che conservarono per il resto della loro vita.
PIETRO e GIULIANA LESTINI
Pietro Lestini nacque a Roma il 23 novembre 1892.
Subito dopo l'occupazione tedesca di Roma (10 settembre 1943) l'ing. Lestini costituì una rete clandestina per nascondere e proteggere dai nazifascisti uomini politici, militari, prigionieri alleati ed ebrei.
Il primo rifugio fu il teatrino messo a disposizione dal parroco della chiesa di san Gioacchino nel quartiere Prati, padre Antonio Dressino. Venivano forniti aiuti in denaro, viveri, vestiti borghesi.
Nel giro di poche settimane la situazione precipitò: il 16 ottobre avvenne la brutale razzia del ghetto e nei giorni successivi furono arrestati anche alcuni commercianti ebrei di via Fabio Massimo.
Si impose la necessità di trovare un ricovero più sicuro.
Lestini, che aveva come preziosa collaboratrice la figlia Giuliana, allora ventunenne studentessa universitaria (è nata l'11 gennaio 1922), se ne inventò uno incredibile: un nascondiglio aereo in uno spazio angusto tra le capriate e la volta a botte della cupola, che lui conosceva bene per aver diretto i lavori di manutenzione e di restauro della chiesa.
Sul ballatoio con ringhiera che corre tutt'intorno alla base della cupola, s'apre una porticina che immette in uno stanzone. Quella soffitta, dal 25 ottobre 1943, accolse a turno decine di rifugiati, assistiti in ogni necessità. Per ragioni di sicurezza la soffitta fu murata nei primi giorni di novembre, e l'unico contatto con l'esterno restò il passaggio attraverso il rosone.
Il cibo era preparato da suor Marguerite Bernes del Convento delle Piccole suore della Divina Provvidenza o Figlie della Carità, che si trova di fronte alla chiesa.
L'organizzazione fu denominata S.A.S.G. (acronimo che significa appunto Sezione aerea di san Gioacchino).
Riuscirono così a sfuggire ai persecutori gli ebrei Alberto e Leopoldo Moscati (padre e figlio quindicenne) e i fratelli Arrigo e Gilberto Finzi. Alberto Moscati, sofferente di claustrofobia, lasciò il rifugio prima del tempo. Le donne di queste due famiglie, Anita e Nora Finzi, e la signora Moscati, con altre italiane e straniere furono nascoste da suor Marguerite Bernes in locali dell'Istituto.
In caso di malattia, o di altre cause connesse alle difficoltà della loro condizione, i rifugiati erano temporaneamente accolti in casa Lestini.
La soffitta fu abbandonata a fine maggio 1944. Pochi giorni dopo, il 4 giugno, Roma veniva liberata dagli alleati.
L'ing. Lestini morì a Roma l'8 agosto 1960.
Nel 1995 Pietro e Giuliana Lestini sono stati riconosciuti Giusti delle Nazioni da Yad Vashem.
Giuliana, preside in pensione, vive tuttora a Roma.
MARGUERITE BERNES
Marguerite Bernes nacque ad Algeri il 30 settembre 1901 da genitori francesi e dall'età di cinque anni crebbe a Marsiglia.
A Marsiglia fece i suoi studi di diritto e di sociologia alla Scuola Superiore e all'età di 27 anni decise di entrare nella Compagnia delle Figlie della Carità, fondata da San Vincenzo nel 1633.
Si trasferì a Roma nel 1933, nella Casa di san Gioacchino, di fronte all'omonima chiesa. Operò a stretto contatto con padre Dressino e i Lestini, provvedendo alle necessità dei rifugiati e assistendo personalmente le donne.
Dopo la guerra rimase a Roma fino al 1953, quando partì per Gerusalemme. Qui e ad Ein-Karem si occupò di ragazzi handicappati e di ritardati mentali. A Gerusalemme ebbe modo di ritrovare anche alcune famiglie, tra cui i Finzi e i Moscati, che aveva aiutato in quei tragici giorni.
Nel 1974 è stata insignita del titolo di Giusto delle Nazioni da Yad Vashem.
"Abbiamo fatto semplicemente il nostro dovere", così commentava quell'opera di salvataggio tanto pericolosa.
La sua lunga gloriosa vita si chiuse ad Alessandria d'Egitto il 13 aprile 1996.
MARCO ANTONIO DRESSINO
Marco Antonio Dressino (all'anagrafe Dresseno) nacque a Montagnana (Padova) il 1° luglio del 1877 e morì a Roma il 18 ottobre 1969.
Dopo un periodo di apostolato nella parrocchia padovana di Camin, decise, ormai cinquantenne, di entrare nella congregazione dei Padri Redentoristi, cui apparteneva la chiesa romana di San Gioacchino nel quartiere Prati.
Per l'assistenza prestata agli ebrei romani perseguitati Padre Dressino è stato riconosciuto nel 1995 Giusto delle Nazioni da Yad Vashem.
GERTRUD LUCKNER
Gertrud Luckner nacque a Liverpool il 26 settembre 1900.
Il suo nome era Jane Hartmann, ma subito dopo la nascita fu data in affidamento ai coniugi Luckner di Friburgo in Bresgovia.
Fin dagli anni universitari si impegnò nel mondo del volontariato e dell'assistenza. Pacifista convinta, aderì alla Lega della Pace dei cattolici tedeschi, confessione che abbracciò poi nel 1934.
I piani criminali di Adolf Hitler le furono ben chiari fin dalla lettura, nel 1931, del Mein Kampf.
La sua esplicita avversione al nazismo la fece finire nell'elenco dei sospetti della Gestapo, che fin dal 1933, l'anno dell'avvento al potere di Hitler, ne intercettava regolarmente la corrispondenza. Quando il regime emanò i primi provvedimenti antisemiti, Gertrud si attivò consigliando agli ebrei di lasciare il paese.
Dal 1936, sotto la copertura di impiegata della Caritas tedesca, fornì aiuto e assistenza agli ebrei che volevano espatriare.
A coprire le sue attività provvedeva il presidente dell'organizzazione, Benedikt Kreutz. Il vescovo di Friburgo, Conrad Gröber, le rilasciò nel dicembre 1941, con la Germania in piena guerra e i campi di sterminio in piena attività, un salvacondotto volutamente vago e lacunoso, nel quale si specificava che Gertrud Luckner era incaricata di svolgere non meglio precisati compiti nell'ambito del servizio pastorale straordinario. Gertrud in realtà offriva agli ebrei il sostegno economico necessario a procurarsi falsi documenti per sfuggire alla polizia.
Nel 1943 fu arrestata con l'accusa di svolgere attività eversive.
Subì otto mesi di interrogatori in diverse carceri, finché fu destinata al lager di Ravensbrück, dove indossò il triangolo rosso degli oppositori politici. Il 3 maggio 1945 il campo fu liberato dall'Armata Rossa.
Anche dopo la guerra, Gertrud Luckner si adoperò, dall'interno della Caritas tedesca, per garantire assistenza ai reduci delle persecuzioni naziste. Nel 1966 fu onorata come Giusto delle Nazioni a Yad Vashem.
Morì a 95 anni a Friburgo, la città dove le sue spoglie riposano. Dal 1987 la scuola professionale della città porta il suo nome.
GIOVANNI e REGINA BETTIN
Giovanni Bettin nacque a Mellaredo di Pianiga (Venezia) il 30 giugno 1898.
Si sposò nel 1923 con Regina Gentilin, nata a Cazzago di Pianiga il 12 luglio 1903.
Nel settembre 1943 Regina gestiva una trattoria a Padova in Borgo S. Croce, mentre Giovanni lavorava come operaio alle officine La Stanga. Avevano due figli, Egidio e Dalmina, di diciotto e undici anni.
Regina era stata la balia di Lia Sacerdoti ed era rimasta affezionata a tutta la famiglia, composta da papà Edmondo e mamma Gabriella Oreffice, e dai figli Lia, all'epoca undicenne, e dal piccolo Michele di otto anni.
I Sacerdoti, dopo il 10 settembre, erano nella loro casa veneziana al Lido, quando i tedeschi intimarono al prof. Giuseppe Jona, Presidente della comunità israelitica, di consegnare l'elenco degli ebrei residenti, ma questi si suicidò per non accondiscendere alla richiesta.
In quei frangenti terribili, Regina assistette casualmente alla sosta in stazione a Padova, il 19 ottobre, del convoglio diretto ad Auschwitz-Birkenau, su cui, in diciotto carri bestiame, erano stipati in condizioni inimmaginabili gli ebrei romani catturati a Roma tre giorni prima.
Regina si mise in contatto con i Sacerdoti e si offrì di tenere con sé Lia e Michele. I bambini furono ospitati dai Bettin, che li facevano passare per loro nipoti, prima a Padova e poi, per sfuggire ai bombardamenti, a Mellaredo.
Dopo varie traversie, Edmondo e Gabriella Sacerdoti riuscirono a procurarsi documenti d'identità falsi grazie a Torquato Frasson, esponente del CLN vicentino (poi deportato con il figlio diciottenne Franco a Mauthausen, dove entrambi morirono nel maggio del 1945) e successivamente trovarono un rifugio sicuro a Schio grazie all'avv. Dal Savio.
Il 16 giugno 1944 Lia e Michele, dopo otto mesi passati in casa Bettin, si ricongiunsero con i loro genitori che da una settimana erano anch'essi ospiti dei Bettin a Padova.
Il 4 ottobre 1994 Giovanni e Regina furono riconosciuti Giusti delle Nazioni da Yad Vashem. Regina non era presente: era mancata il 7 luglio 1986.
Giovanni ricevette l'onorificenza da un rappresentante del Governo israeliano, nella sua città, davanti ai suoi figli e nipoti. Si spense pochi mesi dopo, a novantasette anni, il 15 settembre 1995.
VARIAN MACKEY FRY
Varian Fry nacque il 15 ottobre 1907 a New York, figlio di un agente di borsa e di una insegnante.
Dopo gli studi universitari ad Harvard si dedicò al giornalismo, specializzandosi negli affari esteri. Come giornalista per la "Foreign Policy Association" di New York fu mandato a Marsiglia nell'agosto 1940 dalla "Emergency Rescue Committee", un'organizzazione privata che aiutava i perseguitati nella Francia sotto occupazione nazista.
Lo scopo della missione, della durata prevista di tre settimane, era di aiutare duecento personalità del mondo culturale e scientifico, delle quali gli era stata fornita la lista, a fuggire dalla Francia occupata: per far ciò gli era stato assegnato un finanziamento di 3000 dollari.
La notizia si diffuse e Fry fu contattato da migliaia di perseguitati, gran parte dei quali ebrei, in cerca di una via di scampo.
Nel dicembre 1940 fu arrestato e detenuto per un certo periodo su una nave; rilasciato, riprese la sua attività malgrado l'ostilità della polizia francese e del consolato americano.
Per aiutare chi era in pericolo rimase a Marsiglia per oltre un anno. Agiva in piena illegalità, procurando tra l'altro documenti falsi per i perseguitati e organizzando il passaggio clandestino del confine.
Si stima che abbia assistito circa 4000 persone, tra le quali oltre 1000 lasciarono illegalmente il paese.
Tra i molti nomi illustri citiamo Hannah Arendt, Marc Chagall e Alma Mahler.
Un'attività di quelle dimensioni non poteva sfuggire all'attenzione della polizia di Vichy, né poteva contare sul sostegno delle autorità diplomatiche statunitensi, che rappresentavano un paese non ancora in guerra con la Germania.
Proseguì la sua azione come clandestino dopo che gli era scaduto il passaporto, finché nel settembre 1941 fu catturato ed espulso dalla Francia.
Dagli Stati Uniti continuò ad aiutare l'emigrazione clandestina dalla Francia occupata e si attivò per far conoscere quanto stava succedendo in Europa e per promuovere una partecipazione attiva delle democrazie, e degli Usa in particolare, alle operazioni di salvataggio.
Negli Stati Uniti, però, la sua attività era considerata sospetta; il "Federal Bureau of Investigation" lo tenne sotto sorveglianza, impedendogli l'accesso a qualsiasi impiego governativo.
Continuò con difficoltà la sua attività di pubblicista, e infine si dedicò all'insegnamento in scuole secondarie.
Morì all'età di 59 anni, nel Connecticut, dove insegnava a tempo parziale.
Nel 1967 fu insignito del titolo di Cavaliere della Legion d'onore, la massima onorificenza francese.
Nel 1994 è stato riconosciuto Giusto delle Nazioni da Yad Vashem.
JACQUELINE MUKANSONERA
Nata nel 1963, Jacqueline Mukansonera, una giovane di etnia hutu, era stata curata da Yolande Mukagasana nel suo ambulatorio a Kigali, nel quartiere di Nyamirambo.
Yolande fin dai primi giorni del genocidio era tra le persone più ricercate dagli estremisti hutu e indicata come rappresentante dell’intellighentia tutsi destinata a morire. Jacqueline nascose Yolande nella sua cucina, sotto un doppio lavello di cemento, dove rimase per 11 giorni, uscendo solo di notte per mangiare e distendere i muscoli contratti. Le due donne non potevano neppure parlare, per timore di essere scoperte.
Per metterla al sicuro Jacqueline corruppe un poliziotto e le procurò un documento d’identità falso, su cui era indicata l’etnia hutu.
Oggi Jacqueline vive in Ruanda, dove continua la sua battaglia per i diritti umani e dove ha fondato l’associazione “Jya Mubandi Mwana”, che si occupa di bambini con gravi handicap.
ZURA KARUHIMBI
Zura Karuhimbi è nata nel 1925 in Ruanda nel distretto di Ntongwe ove ancora risiede, vivendo in condizioni di estrema semplicità. Nonostante l'età è una donna ancora forte ed energica.
Durante il genocidio ruandese, noncurante dei rischi e delle minacce che lei stessa correva, ospitò nella sua casa molti ruandesi di etnia tutsi, sfamandoli e proteggendoli da morte certa ad opera delle milizie ruandesi Interahamwe.
Le testimonianze dei salvati sono molteplici: citiamo quella di Wellars, che nel genocidio ha perso i quattro figli, e quella di un ragazzo che al tempo del genocidio era un bimbo di qualche mese, che Zura strappò dal dorso della mamma morta cui si era aggrappato. Zura ha chiamato il bimbo Emmanuel Bizimana, Bizimana vuol dire "è Dio solo che sa", lo ha portato nella sua casa, lo ha sfamato comprando dei sacchetti di latte che legava al suo seno e da cui Emmanuel si nutriva.
Nel 2006, l'associazione Ibuka - memoria e giustizia, un'associazione che raggruppa i sopravissuti del genocidio ruandese, ha consegnato dei certificati di merito e di riconoscimento a cinque persone che hanno salvato cittadini tutsi dal genocidio: tra loro Zura Karuhimbi, che ne ha salvato almeno cento.
Per la stessa ragione, Zura ha ricevuto dal governo di Paul Kagame una medaglia al valore.
IVANKA ŠUCUR
Ivanka Šucur, di etnia croata, è nata nel 1950 a Kakanj, in Bosnia Erzegovina.
Durante l'assedio di Sarajevo suo marito fu ucciso dalle forze serbo bosniache e lei rimase vedova con tre figli.
Il 16 ottobre 1993 uscì di casa per rimediare del cibo e dell'acqua, nonostante sulla città fosse in corso un pesante bombardamento e, nel quartiere periferico di Hrasnica, trovò un bimbo abbandonato di circa un anno e mezzo che prese con sé e portò in salvo.
In un contesto così drammatico, devastato dalla propaganda nazionalista e dal fanatismo religioso, le autorità competenti rifiutarono di prendersi carico del bambino, perché non se ne conosceva l'identità, e allora Ivanka lo portò a casa sua.
Mentre lo stava cambiando trovò un pezzo di carta su cui era scritto: Elvis, nato a Capljina il 9 gennaio 1992.
Qualche mese dopo Ivanka scoprì che il bambino era di famiglia musulmana, che la madre era morta e il padre lo aveva abbandonato, e decise di tenerlo con sé come un quarto figlio.
Per questo gesto generoso Ivanka Šucur ha dovuto fronteggiare anche l'ostilità di chi avversava qualunque forma di riavvicinamento fra le diverse etnie.
Ivanka è riuscita ad assicurare un'esistenza dignitosa al bambino, lasciandogli tra l'altro, lei cattolica, piena libertà di scegliere il suo credo religioso, e oggi Elvis è musulmano.
Con la sua azione, così nobile e così profondamente umana, Ivanka Šucur è un modello esemplare, cui possono guardare quanti hanno a cuore la riconciliazione e la pace.
Nel 2008 le è stato conferito a Sarajevo il premio Duško Kondor al Coraggio Civile, promosso da Gariwo Sarajevo.
ÐURO IVKOVIC
Ðuro Ivkovic nacque nel 1934 a Drežanj, nel comune di Nevesinje, in Bosnia Erzegovina, e in quel distretto, fin da giovane, svolse la professione di poliziotto.
Di etnia serba, durante la guerra bosniaca, tra giugno e luglio 1992, organizzò la fuga di diversi civili musulmani che erano stati espulsi dai loro paesi ed erano rinchiusi nelle stazioni di polizia di Nevesinje e nei campi di concentramento circostanti in Erzegovina orientale.
Nel luglio di quello stesso anno Ivkovic strappò a morte sicura tre ragazzini della famiglia Catic, Džemal di 12 anni, Irfan di 11 e Dženis di 8, che erano trattenuti nella stazione di polizia di Nevesinje, facendoli scappare dalle cantine e aiutandoli a raggiungere la salvezza in territorio libero. Sempre dallo stesso luogo fece evadere e mise in salvo la signora Nura Micijevic e i suoi due piccoli, di 6 mesi e 3 anni.
Malgrado avesse numerosi figli e nipoti da sfamare, Ivkovic sostentava segretamente alcuni poveri orfani detenuti nelle carceri di Nevesinje.
Andato in pensione al termine della guerra, morì per le conseguenze di un attacco cardiaco il 17 maggio 2008.
Il profondo senso di umanità mostrato nei riguardi dei perseguitati, l'indifferenza ai rischi cui si esponeva per salvarli, fanno di Ðuro Ivkovic un modello di riferimento per quanti credono nei valori della riconciliazione e della convivenza pacifica tra i popoli che da secoli abitano la Bosnia Erzegovina.
Nel 2008 gli è stato conferito il premio Duško Kondor al Coraggio Civile, promosso da Gariwo Sarajevo.
DRAGAN ANDRIC
Dragan Andric nacque l'11 marzo del 1956 a Konjic in Bosnia Erzegovina.
Poeta, musicista e professore, fondò il centro culturale di Konjic e sempre nella sua città assunse, prima della guerra, il ruolo di dirigente del servizio di sicurezza nazionale.
Strenuo oppositore, lui serbo-bosniaco, della politica sciovinista propagandata dai partiti nazionalisti, si batté incessantemente per la salvaguardia dei diritti civili dei cittadini bosniaci.
Allo scoppio della guerra in Bosnia mise la sua grande umanità e il suo coraggio al servizio della salvezza dei perseguitati.
Per mesi, tra mille pericoli, si infiltrò nel territorio nemico alla ricerca dei civili dispersi e indifesi, profughi nel loro stesso paese ed esposti a brutalità e massacri per la loro appartenenza etnica e religiosa, riuscendo a salvare molte persone in procinto di essere sterminate. Tra loro Zehra Gozo, una donna musulmana, assieme a suo fratello Muharem e alla loro madre, che devono tutti la vita all'azione di Dragan Andric.
Convinto assertore della necessità di difendere la multietnicità della Bosnia, Andric si scontrò con i politici nazionalisti al potere, che lo ostacolarono in ogni modo, ma non riuscirono a distoglierlo dalla sua missione.
Dopo la guerra fu nominato segretario del tribunale civile di Koniic e poi ispettore del servizio di sicurezza nazionale a Sarajevo.
In questo incarico proseguì la sua lotta per inchiodare alle loro gravissime responsabilità i criminali di guerra Karadžic e Mladic e gli altri capi della criminalità organizzata in Bosnia ed Erzegovina.
È morto nell'aprile del 2004 a Sarajevo per un'emorragia cerebrale, lasciando la moglie Mirjana e due figli, Srdan e Saša.
Nel 2008 gli è stato conferito a Sarajevo il premio Duško Kondor al Coraggio Civile, promosso da Gariwo Sarajevo.
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